Con il Decreto Legislativo del 12 gennaio 2019, il così detto Codice della Crisi ...
Abbiamo assistito negli ultimi anni a molti rimaneggiamenti alla legislazione che regola la crisi e l’insolvenza delle imprese. Con il Decreto Legislativo del 12 gennaio 2019, il così detto Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza abbreviato comunemente con la sigla CCI, è stato messo a punto un codice che consenta di andare oltre alla Legge Fallimentare (L. Fall.) diretta discendente del Regio Decreto del 16 marzo 1942, n.267 e non più in grado di interpretare l’attuale situazione delle aziende nonostante la difficoltà di scardinare le molte procedure e strumenti ormai noti e sedimentati nelle prassi. Se per secoli infatti il diritto fallimentare è ruotato attorno all’istituto del fallimento (come fosse un prototipo delle procedure concorsuali) volto a liquidare il patrimonio dell’imprenditore insolvente e a ripartirne il ricavato tra i creditori, allo stato attuale si è completamente modificata la prospettiva dalla quale vedere questo istituto e si è generata l’esigenza di dissociare le sorti dell’imprenditore insolvente da quelle dell’impresa in crisi tentando di riformare la legge nell’ottica del mantenimento produttivo delle aziende privilegiando l’adozione di strumenti che consentano la continuità aziendale e facendo, di fatto, cadere nell’obsolescenza lo stesso concetto di fallimento.
Fatta questa doverosa premessa che getta luce su quella che è la ratio alla base del CCI, l’insorgere della crisi pandemica nel marzo 2020 ha dato vita a una situazione emergenziale straordinaria che, a catena, ha portato allo slittamento dell’entrata in vigore del nuovo codice per consentire alle imprese di poter continuare a fare affidamento sugli strumenti già vigenti e facilmente applicabili nella prassi giuridica per consuetudine. L’ultimo intervento legislativo operato, che ha portato alla conversione in legge del decreto del 24 agosto 2021 (n.118/2021), ha dunque ripreso in mano le questioni inerenti alla crisi d’impresa, ma modificando il decreto n.118 in vari punti.
Innanzitutto, ha predisposto un ulteriore rinvio dell’entrata in vigore del CCI, che viene rimandato al 16 maggio 2022 fatta eccezione per:
La composizione negoziata per la soluzione della crisi d’impresa è un nuovo istituto che viene messo a disposizione di tutti gli imprenditori (sia commerciali, sia agricoli) che, trovandosi in condizione di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario tale per cui è molto probabile il profilarsi di una situazione di crisi o d’insolvenza, possono tentare la ristrutturazione del proprio debito in via stragiudiziale e conseguentemente tentare di preservare la continuità aziendale.
L’imprenditore dovrà fare richiesta, corredandola di specifici documenti, su una piattaforma digitale appositamente istituita presso le Camere di Commercio dell’ambito territoriale di appartenenza, affinché venga nominato un esperto qualificato e indipendente, iscritto in un apposito albo, che lo possa affiancare e assistere nella negoziazione con i creditori e con eventuali terzi interessati.
Se viene presentata istanza per l’accesso alla composizione negoziata da parte di imprese che fanno parte di un gruppo aziendale, non deve necessariamente fare istanza l’intero gruppo, ma quelle società appartenenti ad esso che non hanno presentato istanza possono comunque essere invitate dall’esperto a partecipare alle trattative.
Concretamente la nomina di tale esperto avverrà ad opera di una commissione che resta in carica per due anni e che è composta da:
La caratteristica principale della composizione negoziata è che non vi è ‘spossessamento’ dell’imprenditore, il quale mantiene la facoltà di gestione ordinaria e straordinaria dell’impresa, tranne per quanto concerne alcuni specifici atti e obblighi informativi dovuti all’esperto, che se lo ritiene opportuno può segnalare mediante iscrizione del proprio dissenso nel Registro delle Imprese quali di questi atti siano stati individuati come pregiudicanti per gli interessi dei creditori.
L’accesso alla composizione negoziata, inoltre, non impone di per sé che all’impresa vengano revocati gli affidamenti bancari, ma per contrarre finanziamenti prededucibili o finanziamenti infragruppo, o per trasferire l’azienda o una sua parte, c’è bisogno di una specifica autorizzazione del Tribunale. Nel caso in cui non si riuscisse a raggiungere nessun accordo con i creditori, può sopraggiungere la richiesta di intervento del Tribunale per la determinazione di eque condizioni di contratto per il periodo che serve all’insolvente per assicurare la continuità aziendale.
Un altro aspetto importante di questo istituto concerne le misure protettive del patrimonio che possono essere richieste dall’imprenditore, sia con l’istanza introduttiva, sia successivamente. Se si sceglie questa seconda strada, per continuare a beneficiare di esse, pena la loro inefficacia, l’imprenditore è tenuto a depositare un apposito ricorso davanti al Tribunale competente e pubblicare, entro 30 giorni, nel Registro delle Imprese il numero del relativo procedimento. Il Tribunale, in seguito, deciderà se confermarle o revocarle. La durata di tali misure protettive va da un minimo di 30 a un massimo di 240 giorni e possono essere disposte anche soltanto nei confronti di alcuni creditori e non di tutti.
In ultimo, da quando viene pubblicata l’istanza e fino al momento in cui si conclude la composizione negoziata, è impossibile che vengano pronunciate sentenze di fallimento o di accertamento dello stato di insolvenza dell’imprenditore.
Se le parti non individuano una soluzione l’incarico dell’esperto di potrà dire concluso dopo 180 giorni, quando egli presenterà una relazione finale redatta di suo pugno e debitamente inserita nella piattaforma dedicata alla composizione negoziata. In base all’esito positivo o negativo delle trattative l’imprenditore può accedere a diversi strumenti.
Se l’esito è positivo l’imprenditore può:
Se l’esito è negativo l’imprenditore può: